A maggio la Corte Europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per la mancata adozione di misure volte a proteggere la sig.ra Silvia De Giorgi e i suoi tre figli dalla violenza del marito.
De Giorgi vs Italia
Nonostante ben 7 denunce presentate tra il 2015 e il 2019 per minacce di morte, percosse, lesioni personali, stalking e maltrattamenti familiari anche verso i figli, i magistrati incaricati del caso non hanno preso alcuna iniziativa per tutelare la donna e questo – scrivevano i giudici di Strasburgo – ha creato “una situazione di impunità” per l’ex marito, che deve essere ancora processato per fatti avvenuti ben 6 anni fa.
Pochi giorni fa è arrivata un’altra condanna per l’Italia, si tratta della terza nel corso di un anno.
Landi vs Italia
Questa volta il caso riguarda l’inerzia delle autorità italiane nel proteggere una giovane mamma, la sig.ra Landi, dai maltrattamenti inflitti ripetutamente dal compagno e culminati nell’omicidio del figlio di 1 anno e nel tentato omicidio della donna.
Anche in questo caso dal 2015 al 2018 la sig.ra Landi aveva denunciato più volte alla polizia le violenze subite e questa si era subito attivata correttamente. Non così l’autorità giudiziaria, che aveva dato inizio solo tardivamente ad un unico procedimento per violenza domestica, senza neppure emettere alcun provvedimento per la protezione della signora Landi e dei suoi figli durante l’inchiesta.
In questo modo, affermano i giudici della CEDU, si è creato un contesto di impunità favorevole alla reiterazione degli atti di violenza perpetrati dal partner sino al verificarsi dell’ultima aggressione che è costata la vita a un bambino.
In base a quanto sancito dalla Corte, le autorità che sapevano, o che avrebbero dovuto sapere dell’esistenza di un pericolo imminente e concreto per la vita a seguito delle condotte criminose dell’uomo, peraltro affetto da disturbi mentali, avrebbero dovuto prendere, nell’ambito delle loro competenze, tutte le misure in grado di scongiurare questo pericolo.
I parametri scanditi dalla Corte EDU
Per cogliere il senso dell’obbligo positivo in esame, la Corte EDU ha richiamato in motivazione i parametri scanditi nel caso Kurt c. Austria del 2021, così riassumibili:
- le autorità devono attivarsi immediatamente nel caso di accuse di violenza domestica;
- quando tali accuse sono portate alla loro attenzione, le autorità devono verificare se esiste un rischio reale e immediato per la vita della vittima di violenza domestica che sia stata identificata, effettuando una valutazione del rischio autonoma, pro-attiva ed esauriente. Devono tenere in debita considerazione il contesto tipico dei casi di violenza domestica nella valutazione del carattere reale e immediato del rischio;
- quando tale valutazione evidenzi l’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita degli altri, le autorità sono obbligate ad adottare misure operative di carattere preventivo. Queste misure devono essere altresì adeguate e proporzionate al livello elevato di rischio insito nelle violenze domestiche.
L’ennesima condanna dell’Italia
Sulla scorta di tali principi i Giudici della Corte EDU, pur promuovendo le riforme dell’Italia in materia di violenza domestica, ha sanzionato la grave inerzia delle autorità nell’applicare le misure di protezione in quanto nel caso concreto le autorità non hanno fatto il necessario per tutelare il diritto alla vita sancito dall’art. 2 della CEDU, e pertanto hanno condannato l’Italia riconoscendo alla vittima il diritto ad un cospicuo risarcimento.
Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca