NewsNiente licenziamento per un like sui social. Ma per un post?

20 Luglio 2021

È degli ultimi giorni la notizia che arriva dalla Turchia di un dipendente che è stato licenziato per un “mi piace” inserito sotto l’articolo di un noto social network.

La questione, dapprima portata all’attenzione dell’Autorità giudiziaria turca veniva decisa in modo negativo per il dipendente, in quanto i giudici ritenevano che le pubblicazioni incriminate, nelle quali erano riportate critiche di carattere politico, potessero turbare la tranquillità del luogo di lavoro.

Sennonché, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la recentissima sentenza 15 giugno 2021, ha affermato l’illegittimità del licenziamento del dipendente in quanto inserire un “like” sotto contenuti pubblicati da terzi costituisce esercizio della libertà di espressione.

Niente licenziamento per un like dunque, ma se ad essere pubblicato su un social network fosse un post?

 

Cosa dicono i giudici italiani

Pur riconoscendo il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, la giurisprudenza italiana ritiene legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che abbia sfogato le frustrazioni lavorative mediante un post pubblicato sul web dai contenuti offensivi e diffamatori verso la datrice di lavoro e/o i colleghi. In particolare, secondo il costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione la diffusione di un messaggio offensivo attraverso l’uso di una pagina web accessibile a più utenti assume una valenza diffamatoria, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone e, pertanto, integra giusta causa di licenziamento.

A ciò si aggiunga che, data l’amplissima capacità divulgativa di internet, la pubblicazione di contenuti diffamatori sul web, può giustificare, oltre al licenziamento, anche la condanna al risarcimento danni in sede civile e le conseguenze penali per essere incorsi nel reato di diffamazione aggravato dall’uso di un mezzo di pubblicità ex all’art. 595, comma 3, cod. pen.

È poi del tutto irrilevante che non sia stato fatto il nome della datrice di lavoro laddove dal tenore del post diffamatorio si comprenda contro chi è rivolto e la datrice risulti essere comunque agevolmente identificabile.

Ad ogni buon conto, al fine di valutare la capacità lesiva di un contenuto pubblicato sul web e la sua rilevanza sotto il profilo disciplinare e, eventualmente, penale, è sempre consigliabile, sia a privati cittadini che a imprese, rivolgersi ad un professionista che possa valutare il caso concreto anche alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali.

 

Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca

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