In seguito all’emanazione del D.P.C.M. 08.03.2020, tre persone venivano accusate del reato di cui all’art. 650 Cod. Pen. per aver violato l’ordine imposto, per ragioni di igiene e di sicurezza pubblica, di non uscire se non per motivi di lavoro, salute o necessità.
All’esito del processo penale, il Tribunale di Pisa ha emanato la sentenza n. 1842/2021, pubblicata il 17.02.2022, con la quale ha assolto con formula ampia i tre dal reato loro ascritto in quanto il fatto non sussiste.
Secondo quanto si legge in sentenza: “la delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 è illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio del Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. A fronte della illegittimità della delibera del CdM del 31.01.2020, devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID 19, nonché tutte le successive proroghe dello stesso stato di emergenza.”
Il Presidente del Consiglio non ha il potere di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria
In particolare, il giudice pisano ha messo in evidenza che lo “stato di emergenza” è una condizione giuridica particolare che la Costituzione Italiana prevede solo nel caso di guerra (art. 78 Cost.) e legittima l’attribuzione al Governo di poteri straordinari.
Sennonché la situazione causata da Covid-19 non è minimamente assimilabile allo “stato di guerra”, per cui non è possibile fare applicazione analogica dell’art. 78 per legittimare l’attribuzione di poteri straordinari al Governo. Per tale motivo, il Tribunale di Pisa arriva ad affermare che la delibera del Consiglio dei Ministri 31.01.2020 con cui è stato dichiarato per 6 mesi lo stato di emergenza nazionale “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” è illegittimo per violazione del predetto art. 78 Cost., non rientrando tra i poteri del Consiglio dei Ministri quello di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria.
Da ciò discende, a cascata, l’illegittimità dei successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica, nonché di tutte le successive proroghe di detto stato di emergenza.
Violazione principi di legalità e di riserva di legge
Oltre a quanto detto, il giudice pisano ha ravvisato la violazione dei principi di legalità e di riserva di legge, in quanto nel modello emergenziale costruito dal Governo le libertà fondamentali avrebbero dovuto essere limitate formalmente da norme di rango primario (ovvero dai vari decreti legge fin qui adottati) ma nella sostanza sono state compresse dai DPCM, vale a dire da atti di natura amministrativa.
Scrive il giudice: “Con la dichiarazione dello stato di emergenza, il Governo assume la gestione dell’emergenza sanitaria da Covid 19, mediante il ricorso alla decretazione d’urgenza, di cui all’art. 77 Cost, a sua volta posta alla base dei DPCM, con i quali sono state adottate misure più stringenti e limitative dei diritti fondamentali degli individui, anche rispetto a quanto previsto negli stessi decreto-legge, primo fra tutti il decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020”
Detto D.L. 6/2020, si legge in sentenza “costituisce una “delega in bianco” a favore del Governo, dotando se stesso e lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri di poter extra ordinem” e prevedendo, quale unico limite, quello del rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità. In questo modo – continua il giudice – si verifica “un ampio trasferimenti dei poteri a favore del Presidente del Consiglio dei Ministri che, con discrezionalità, ogni qualvolta ritenga che la misura sia adeguata e proporzionale per affrontare la crisi epidemiologica, può adottare atti amministrativi e finisce per innovare l’ordinamento giuridico”.
Come si innova l’ordinamento giuridico
L’innovazione ordinamentale, introdotta dai DPCM si rende evidente nel fatto che la norma da cui essi traggono forza (cioè i decreti legge), “non delineano né limiti formali né sostanziali all’esercizio di tale potere, al di fuori della locuzione “adozione di atti adeguati e proporzionati per affrontare la crisi”. Ciò significa, sostanzialmente, che ogni valutazione è rimessa al Presidente del Consiglio il quale, laddove ritenga che vi sia l’urgenza di intervenire per far fronte all’accentuarsi della “crisi sanitaria” è libero di adottare quegli atti che personalmente ritenga adeguati e proporzionati, senza che gli siano posti limiti formali o sostanziali nell’adozione degli stessi.
In altri termini – si legge in sentenza – “è stato delegato al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di attuare misure restrittive, molto ampie e senza indicazione di alcun limite, nemmeno temporale, con compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, quali la libertà personale (art. 13 Cost), la libertà di movimento e di riunione (artt. 16 e 17 Cost.), il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, anche in forma associata (art. 19 Cost.), il diritto alla scuola. (art. 34 Cost.), il diritto al lavoro (art. 36 Cost), il diritto alla libertà di impresa (art. 41 Cost.), e tutto ciò non con legge ordinaria, ma con un decreto del Presidente del Consiglio, inficiato da illegittimità per:
a) mancanza di fissazione di un effettivo termine di efficacia;
b) elencazione meramente esemplificativa delle misure di gestione dell’emergenza adottabili dal Presidente del Consiglio del Ministri;
c) omessa disciplina dei relativi poteri.”
Violazione dell’art. 13 della Costituzione
Con riferimento alle limitazioni alla libertà di movimento introdotta dai DPCM, ad esempio, il giudice scrive “vietare ad una persona fisica ogni spostamento anche all’interno del territorio in cui vive o si trova, configurandosi quale vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare, a mente dell’art. 13 Cost., richiede una specifica disposizione legislativa e un atto motivato dell’autorità giudiziaria.
Consegue, allora, che un DPCM, fonte meramente secondaria, non atto normativo, non può disporre limitazioni della libertà personale, come invece disposto dal DPCM del 8/3/2020 ove sono adottate le misure volte ad evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori previsti dal medesimo decreto, nonché all’interno dei medesimi territori, e successivamente estese a tutto il territorio nazionale dal DPCM 09.03.2020, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute“.
Conclusioni
Alla luce di tali considerazioni, il giudice del Tribunale di Pisa, rifacendosi alle argomentazioni di eminenti costituzionalisti ed ex presidenti, vice presidenti e consiglieri della Corte Costituzionale (Cassese, Baldassarre, Marini, Cartabia, Onida, Maddalena), oltre che alle pronunce rese da altri giudici di merito (Frosinone, Roma, Reggio Emilia) ha dichiarato la “indiscutibile illegittimità del DPCM del 8/3/2020 (come pure di quelli successivi emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri)”.
Questa sentenza suscita certamente grande interesse in quanto va ad aggiungersi alle pronunce critiche nei confronti delle modalità con le quali è stata gestita l’epidemia da Covid-19 sul piano normativo. Qui, però, per la prima volta un Tribunale è arrivato ad affermare, senza mezzi termini, l’illegittimità della decretazione d’urgenza emanata da marzo 2020 ad oggi, evidenziandone le molteplici criticità sotto il profilo costituzionale sia per quanto riguarda il ricorso allo strumento dei DPCM, sia per il modo in cui mediante questi atti di natura amministrativa sono stati di fatto compressi diritti di rango primario riconosciuti fondamentali per Costituzione.
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