Adanira, nome di fantasia dietro il quale si nasconde l’identità di una giovane donna albanese, fugge dal proprio paese per sottrarsi alla violenza del padre che vuole costringerla ad un matrimonio combinato.
Giunta finalmente in Italia la sua istanza di protezione internazionale è respinta. Secondo le autorità italiane Adanira non ha diritto a questa forma di protezione.
Il matrimonio imposto costituisce violenza di genere
A fronte del diniego, Adanira non demorde e, con grande coraggio, impugna il provvedimento di rigetto dinanzi al Tribunale.
Inizia così una vicenda processuale che si è conclusa solo recentemente con l’emanazione dell’ordinanza del 20 aprile 2022 n. 12647 che ha dato ragione a questa donna e ha posto un importante principio di diritto:
la violenza di genere rientra tra le ipotesi che legittimano il riconoscimento della protezione internazionale e il matrimonio imposto costituisce violenza di genere.
I matrimoni combinati sono contrari alla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011
Come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione “la violenza fisica e psichica esercitata su di una donna per costringerla al matrimonio, lungi dal rappresentare una vicenda di tipo meramente privatistico, rappresenta, per converso, una ipotesi paradigmatica di violenza di genere” così come riconosciuto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne (Convenzione di Istambul del 2011).
In particolare, la citata Convenzione di Istambul, all’art. 3 ha definito la violenza nei confronti delle donne in termini di violazione dei diritti umani e di forma di discriminazione, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica, economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Tale articolo deve essere letto congiuntamente all’art. 37 che ha disposto che le Parti firmatarie della Convenzione devono adottare le misure legislative necessarie per penalizzare l’atto intenzionale di costringere un adulto a contrarre matrimonio.
Codici di comportamento e violenze fisiche e psichiche: il coraggio di dire BASTA
La violenza di genere è tanto più evidente se si considera che in alcuni casi come quello di specie, le donne sono vittime di codici di comportamento.
Si pensi al c.d. Kanun applicato in alcune zone rurali dell’Albania, che contiene tutta una serie di prescrizioni volte a disciplinare la vita civile che rilegano le donne in una posizione di totale subalternità rispetto agli uomini e “il cui principio fondamentale – scrivono i Giudici della Cassazione – può icasticamente riassumersi in una concezione della donna “da riempire come un otre”.
Ed è proprio sulla base di questo codice di comportamento che, secondo quanto accertato dai Giudici nel contesto familiare e sociale di provenienza di Adanira “venivano giustificate le incessanti violenze, fisiche e psichiche, subite da una giovane donna che pure aveva trovato l’ammirevole coraggio di sottrarsi ad un destino brutalmente già scritto in sua vece, fino al punto di trovare la forza di denunciare e far arrestare il padre – anche se, a seguito dell’intervento del potente e facoltoso “promesso sposo”, nulla sarebbe mutato nella sua futura storia di sposa coatta, al di là ed a prescindere da qualsivoglia intervento dell’autorità”.
L’opposizione di Adanira e la sua determinazione nel fare quanto possibile per sottrarsi a quella situazione di violenza l’hanno portata a cambiare quel destino che i suoi familiari avevano già scritto per lei.
Il matrimonio imposto costituisce motivo di riconoscimento di protezione internazionale
Alla luce di queste considerazioni, la Suprema Corte è giunta ad affermare che il matrimonio imposto, al quale nella specie si aggiungevano specifici atti di violenza, fisica e psichica, costituisce motivo indiscutibile di riconoscimento di protezione internazionale, potendosi al più discutere della forma di protezione maggiore da riservare alla richiedente asilo.
Per tali motivi, i Giudici della Cassazione hanno cassato il provvedimento impugnato e rinviato al Tribunale affinché faccia applicazione dei predetti principi e riconosca il diritto di questa giovane donna ad ottenere la protezione internazionale e a ricominciare a vivere serenamente la sua vita in Italia.
Matrimoni combinati nel mondo
Sono ancora molte le zone del mondo nelle quali permane radicata l’usanza dei matrimoni combinati e le donne, talvolta solo delle bambine, non hanno alcuna voce in capitolo.
Secondo le ultime stime ad oggi i matrimoni combinati sono circa 60 milioni e 146 i paesi nei quali è legale sposarsi al di sotto dei 18 anni.
Tra i paesi nei quali il matrimonio forzato è abitualmente praticato vi sono il Madagascar, Malawi, Mauritiana, Niger e in alcune aree rurali del Sudafrica, mentre esso permane come usanza radicata in alcune zone del Pakistan, ed è molto diffuso in Afghanistan, India, Iran, Nepal e Sri Lanka.
In Italia è un reato penalmente perseguibile
In Italia l’induzione coatta a contrarre matrimonio costituisce reato.
L’articolo 558-bis del Codice penale punisce con la reclusione da uno a cinque anni per chiunque obblighi un’altra persona a contrarre matrimonio o unione civile mediante qualsiasi tipo di minacce e/o violenze, anche se il fatto avviene fuori dal territorio italiano nei confronti di un italiano o di un cittadino non italiano residente in Italia da parte di un italiano o di un cittadino non italiano residente in Italia. Se la vittima ha meno di 18 anni o di 14 anni di età, sono previste aggravanti e la pena sale da due a sette anni.
Proprio per tutelare le vittime dei matrimoni forzati, numerose associazioni, centri antiviolenza, offrono una residenza protetta che possa consentire alle donne vittime di questa forma di violenza di allontanarsi dalle famiglie di origine.
Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca