Negli ultimi giorni è caduto sotto la scure della Corte Costituzionale l’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. c), dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui impone il visto di censura sulla corrispondenza tra il detenuto sottoposto al carcere duro ed il proprio difensore.
Il visto di censura comprime il diritto di difesa
La questione, portata all’attenzione della Consulta dalla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, metteva in risalto come, l’estensione del visto di censura anche alla corrispondenza indirizzata al legale determinasse una compressione di quel diritto di difesa che, ai sensi dell’art. 24 della Costituzione, è e deve essere inviolabile.
La procedura di visto comporta, infatti, l’apertura della corrispondenza da parte dell’autorità giudiziaria o dell’amministrazione penitenziaria delegata, la sua integrale lettura e il suo eventuale “trattenimento” – ossia la mancata consegna al destinatario, sia questi il difensore o lo stesso detenuto o internato. Tale procedura comporta dunque in ogni caso, oltre a un rallentamento della consegna della corrispondenza, il venir meno della sua segretezza; e può determinare, altresì, l’impedimento radicale della comunicazione, sulla base del giudizio discrezionale dell’autorità che esercita il controllo.
La difesa come diritto inviolabile
Con la sentenza n. 18 del 24.01.2022, la Corte Costituzionale ha riconosciuto fondata la questione di legittimità costituzionale sottoposta alla sua attenzione.
Questa sentenza è particolarmente importante perché afferma a gran voce che la garanzia costituzionale del diritto di difesa costituisce «principio supremo» dell’ordinamento costituzionale e comprende il diritto, ad esso strumentale “di conferire con il difensore «allo scopo di predisporre le difese e decidere le strategie difensive, ed ancor prima allo scopo di poter conoscere i propri diritti e le possibilità offerte dall’ordinamento per tutelarli e per evitare o attenuare le conseguenze pregiudizievoli cui si è esposti»”.
Il diritto di difesa, che per costituzione è inviolabile, non può subire limitazioni nei confronti di chi sia sottoposto a pena detentiva, ma anzi è evidente, secondo i giudici costituzionali come “tale diritto «assuma una valenza tutta particolare nei confronti delle persone ristrette in ambito penitenziario, le quali, in quanto fruenti solo di limitate possibilità di contatti interpersonali diretti con l’esterno, vengono a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza rispetto all’esercizio delle facoltà difensive» (sentenza n. 143 del 2013).”
Il diritto di conferire con il legale è riconosciuto negli atti sovranazionali
D’altra parte, come puntualmente evidenziato dalla Corte Costituzionale, il diritto del detenuto a conferire con il difensore forma oggetto di esplicito e puntuale riconoscimento in atti sovranazionali, tra i quali la raccomandazione R (2006)2 del Consiglio d’Europa sulle “Regole penitenziarie europee”, e “se un avvocato non potesse conferire con il suo cliente e ricevere da lui istruzioni riservate al riparo della sorveglianza da parte dell’autorità, la sua assistenza tecnica perderebbe gran parte della sua utilità, mentre la Convenzione mira a garantire diritti concreti ed effettivi” (Corte europea dei diritti dell’uomo, anche nella sentenza del 27 novembre 2007, Zagaria contro Italia).
L’insostenibile presunzione di collusione
La Corte Costituzionale non esclude a priori il rischio che il detenuto possa continuare a intrattenere rapporti con l’organizzazione criminale di appartenenza, attraverso l’intermediazione del difensore, sicché l’estensione alle comunicazioni con i legali del visto di censura potrebbe, in astratto, ritenersi misura funzionale a ridurre il rischio di un tale evento.
Sennonché “riguardata nel contesto delle altre misure previste dal comma 2-quater dell’art. 41-bis ordin. penit., la disposizione in esame si appalesa del tutto inidonea a tale scopo, dal momento che il temuto scambio di informazioni tra difensori e detenuti o internati potrebbe comunque avvenire nel contesto dei colloqui visivi o telefonici, oggi consentiti con il difensore in numero illimitato, e rispetto al cui contenuto non può essere operato alcun controllo”.
Inoltre, la misura appare eccessiva rispetto allo scopo perseguito, poiché sottopone a controllo preventivo tutte le comunicazioni del detenuto con il proprio difensore in assenza di qualsiasi elemento concreto che consenta di ipotizzare condotte illecite da parte di quest’ultimo.
“In effetti – osserva la Consulta – la disposizione censurata si fonda su una generale e insostenibile presunzione di collusione del difensore con il sodalizio criminale, finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso. Ruolo che, per risultare effettivo, richiede che il detenuto o internato possa di regola comunicare al proprio avvocato, in maniera libera e riservata, ogni informazione potenzialmente rilevante per la propria difesa, anche rispetto alle modalità del suo trattamento in carcere e a violazioni di legge o di regolamento che si siano, in ipotesi, ivi consumate.”
Una sentenza importante
Questa sentenza, la Corte Costituzionale torna quindi ad affermare con forza il ruolo insostituibile e nobilissimo della difesa e, contestualmente, riconosce che il diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni tra detenuto e avvocato sebbene non sia assoluto, anche quando concerne detenuti sottoposti al carcere duro, può subire limitazioni solo entro i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità e, in ogni caso, a condizione che non risulti compromessa l’effettività del diritto alla difesa.
Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca