NewsAVVOCATI CHE HANNO FATTO LA STORIA: Tina Lagostena Bassi

31 Agosto 2022

Tina Lagostena Bassi, nata a Milano il 2 giugno 1926, è considerata per antonomasia “l’avvocato delle donne”.

Forte, materna, professionale, combattiva e umana è stato il primo avvocato al mondo ad utilizzare la parola “stupro” durante il processo del Circeo, negli anni ’70, e a denunciare pubblicamente il clima intimidatorio riservato alle vittime di violenza sessuale accusate di “essersela cercata“.

 

In difesa di tutte le donne

 

E’ il 1978. Siamo in una delle aule del Tribunale di Latina.
Tina Lagostena Bassi indossa la toga al pari dei suoi colleghi uomini che difendono i quattro accusati dello stupro di Fiorella, giovane donna costituita parte civile con l’assistenza legale dell’Avv. Bassi.
Il suo sguardo è duro, deciso, determinato. Tina sa che in quell’aula non difende solo la dignità di Fiorella, ma si sta battendo per la causa di tutte le donne che da sempre sono vittime due volte: prima dei carnefici dai quali vengono abusate e quindi di quella pratica, all’epoca di uso comune anche nei tribunali, di spostare la vittima sul banco degli imputati, di scavare nella sua vita privata per trovare una ragione, una giustificazione allo stupro subito o, detta altrimenti, una colpa che confermi il pregiudizio secondo il quale la donna “se l’è cercata“.

 

La vicenda

 

La vicenda oggetto del processo è quanto mai banale.
Fiorella, lavoratrice in nero, aveva dichiarato di essere stata invitata da un conoscente, tale Vallone in una villa per discutere una proposta di lavoro stabile. Arrivata all’appuntamento si era trovata davanti quattro uomini, tra i quali il predetto Vallone, che l’avevano violentata.
Fin dalle prime battute all’Avv. Lagostena bassi fu chiaro che l’atteggiamento mentale che emergeva in aula era basato sul pregiudizio secondo il quale una donna “di buoni costumi” non poteva essere violentata; che se c’era stata una violenza, questa doveva evidentemente essere stata provocata da un atteggiamento sconveniente da parte della giovane e che se non c’era prova di una coercizione fisica anche mediante percosse o di ribellione, la vittima doveva essere stata consenziente.

Il processo che sconvolse l’Italia

 

Le immagini di quel processo sono ancora visibili nel documentario “Processo per stupro”, andato in onda sulla RAI il 26 aprile del 1979, e realizzato da sei giovani programmiste, filmaker e registe.

Il processo, come intuibile, ebbe una vasta eco mediatica non solo per la gravità del tema trattato e perché si trattava della prima volta che le telecamere documentavano quanto accadeva in un’aula di Tribunale, ma soprattutto per l’appassionata difesa dell’Avv. Bassi che non usò mezzi termini per denunciare l’atrocità del reato commesso ai danni della sua assistita e la violenza alla quale quest’ultima era sottoposta una seconda volta in quello stesso Tribunale nel quale avrebbe dovuto ricevere giustizia ad opera degli inquirenti e degli avvocati del branco di violentatori.

L’espediente “classico” che i difensori degli imputati tentavano di mettere in atto e che Tina Lagostena Bassi smaschera e denuncia era quello di puntare ad ottenere un giudizio negativo sulla condotta morale della ragazza abusata. A tale fine, la malcapitata veniva esaminata nel modo di vestire, di fare e di dire, nel tentativo di evidenziare un chiaro comportamento di “provocazione” nei confronti degli uomini.

 

Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza

 

L’arringa che l’Avv. Bassi fece nel corso di quel processo, qui riportata di seguito,  è un manifesto che ancora oggi, a distanza di 43 anni, appare imprescindibile.

Presidente, Giudici,

credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza?
Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. C
he cosa intendiamo quando chiediamo giustizia, come donne? Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, ed attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto. Noi donne abbiamo deciso, e Fiorella in questo caso a nome di tutte noi – noi le siamo solamente a lato, perché la sua è una decisione autonoma – di chiedere giustizia.
Ecco, questa è la nostra richiesta.

E certo, io non sarò molto lunga, ma devo purtroppo ancora prendere atto, e mi scusino i colleghi, che se da parte di questo collegio si è trattato in questo caso Fiorella, ma si sono trattate le donne, come donne e non come oggetti, ancora la difesa dei violentatori considera le donne come solo oggetti, con il massimo disprezzo, e vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento. Vi diranno gli imputati, svolgeranno quella che è la difesa che a grandi linee già abbiamo capito.
Io mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli – non sempre ce l’ho, lo confesso – di avere la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati – e qui parlo come avvocato – si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina così come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali sicuri da difendere, ebbene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori “Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere un po’ è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!”

Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. E nessuno lo farebbe nemmeno nel caso degli espropri proletari – ma questi sono avvocati che certamente non difendono nessuno che fa esproprio proletario. Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza?
E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale.

Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare una donna venire qui a dire “non è una puttana”. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, e senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa.
Tutto si cerca di sporcare. Questa ragazza, alla ricerca disperata di lavoro – e che lavoro fa? lavoro nero, mentre se andasse per le strade, non avrebbe bisogno di andare per 70.000 lire al mese a lavorare da Giordano, perché tanto era il suo guadagno.
Pensate, una violenza carnale ad opera di quattro, durata un pomeriggio, con un sequestro di persona in una villa, viene valutata 2.000.000. Il silenzio della Fiorella valeva 1.000.000, invece.

Questo, vi prego di tenerne conto, ai fini dell’esame di quella tal congruità dell’offerta di risarcimento. Bene, le si offre 1.000.000, e Fiorella, che ripeto eppure è una ragazza che avrebbe bisogno di soldi – ma li vuole solo lavorando pulitamente, anche se fa lavoro nero, se viene sfruttata come lavoro; ma vuole guadagnare i soldi solo col suo lavoro – fa finta di accettare, guadagna qualche ora, non vi sto a rileggere tutto, dice “Ne riparliamo domani”. Perché domani? Sono le 7:30 di mattina, alle 8 ci sono altre telefonate, lei risponde “Non lo voglio vedere subito”, alle 11 è già al commissariato.
Ma il maresciallo è stato fin troppo chiaro, quando ha detto “Quando sono andato a fermare il Vallone, se lo aspettava, e mi ha detto – Sì, per i fatti di Fiorella, siete qui per i fatti di Fiorella.”, l’abbiamo sentito or ora.

Ma se i fatti di Fiorella era che avevano avuto un rapporto, a pagamento, non a pagamento, ma con una donna consenziente, ma come uno si aspetta la polizia? E poi, la seconda parte: vengono interrogati dal pubblico ministero a Regina Coeli, e non è ancora intervenuto il difensore a dare i suggerimenti, e allora che cosa fanno? Negano. Mentre al maresciallo confermano di avere avuto rapporti carnali, perché tanto anche hanno detto, di fronte al PM negano, negano l’evidenza. Ma chi ha mai detto che occorre la pistola, che occorrono le botte?

Nel Medioevo, sì, si diceva, quando si parlava, e vi ricordate, la giurisprudenza del decennio scorso, della vis grata puellae. Non siamo più ancorati a provare questa “violenza gradita alla fanciulla” che si ammanta di pudicizia.
Nel 1977-78 i costumi sono diversi.
Se una donna vuole andare con un ragazzo, ci va, molto più semplicemente, e non si parla di vis grata puellae, né di quella resistenza, anche una bella sentenza, destinata a cadere come le mura di Gerico.

A nome di Fiorella e a nome di tutte le donne, molte sono, ma l’ora è tarda e noi vogliamo giustizia. E difatti questo io vi chiedo: giustizia. Noi non chiediamo le condanne, non c’interessano. Ma rendete giustizia a Fiorella, e attraverso la vostra sentenza voi renderete giustizia alle donne, a tutte le donne, anche e prima di tutto a quelle che vi sono più vicine, anche a quelle povere donne che per disgrazia loro sono vicine agli imputati. Questa è la giustizia che noi vi chiediamo.

Per quanto attiene al risarcimento, già vi ho detto: una lira per Fiorella, questa ragazza così venale, che andava con uomini per soldi, vero?, e sulla quale voi butterete fango, butterete fango a piene mani. Bene, questa ragazza così venale vuole una lira, e vuole la somma ritenuta di giustizia devoluta al Centro contro la violenza sulle donne, perché queste violenze siano sempre meno, perché le donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più.”

 

La nascita di una nuova consapevolezza sulla dignità della donna

 

La conduzione del processo in difesa di Fiorella è stato uno spartiacque che ha determinato un cambiamento culturale, una nuova consapevolezza su quello che è e che deve essere il modo corretto di realizzare processi di questo tipo avendo una particolare attenzione alla dignità, alla sensibilità e alla riservatezza della parte offesa la quale non deve trovarsi ad essere vittima due volte.

 

 

 

 

Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca

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