Chi è Ebru Timtik
Donna, curda, avvocato e voce degli oppressi. Ebru Timtik è tutto questo e molto altro ancora. Ma per capire chi è non c’è niente di meglio che farcelo raccontare da lei stessa:
“Mio caro cliente,
Come stai? Con tutto il cuore vorrei poter rispondere alle lettere di tutti coloro che mi scrivono. Ma non posso, mi accontento di inviare i saluti, scusatemi per questo. Vorrei che tutti coloro che vogliono giustizia mostrassero il loro sostegno al nostro Death Fast. Avete ragione, un tale sostegno ci renderà molto felici. I lavoratori, i pensionati, i disoccupati possono sostenere questa resistenza contro l’ingiustizia nel processo di produzione. Coloro che sono diventati vittime dell’ingiustizia nei tribunali possono rendersi conto che questa resistenza è anche per loro. Inoltre il nostro Death Fast non riguarda solo la nostra vita, che ora è come la vita di un uccello.
Mi hai chiesto di parlarti di me.
La mia storia è la storia delle ingiustizie che ho vissuto. Ho perso mio padre quando avevo 7 anni. Le mie sorelle avevano 5, 3 anni e 6 mesi. Mia madre aveva solo 22 anni. Fino ad allora, ho vissuto nell’opulenza. Ma poi ci siamo trasferiti nella città di Elazığ (Turchia orientale / Kurdistan settentrionale), e sono iniziati i giorni in cui cercavamo di sopravvivere con la pensione di vedova di mia madre e gli assegni per gli orfani.
Io e le mie sorelle abbiamo chiesto a mia madre: “Mamma, siamo poveri o ricchi? E nostra madre rispose: “Siamo figlie della classe media, perché dovremmo essere povere? Ci sono persone che sono in una posizione peggiore della nostra”, indicando le persone del quartiere che si trovavano in una situazione difficile. “Abbiamo ancora la pensione, le indennità. E ci sono quelli che sono disoccupati, disabili”. Ognuno di noi vedeva i bambini del quartiere costretti a lavorare, i diversi tipi di sandali dei bambini a scuola, i diversi atteggiamenti degli insegnanti nei confronti di ogni bambino, le differenze nel cibo sulla tavola di ogni famiglia.
Tutto ciò che si sviluppa come qualità della mia personalità, tutto ciò che è buono, bello,
morale è merito di mia madre.
Mia madre era una donna di 22 anni che si è diplomata alle elementari. La sua vita è passata prima nel villaggio, poi nella città di Elazığ e infine a Istanbul. Ma siccome era incinta per la maggior parte del tempo o era impegnata a crescere i suoi figli, non aveva il tempo di uscire e camminare per strada. Quando suo marito morì, aveva 22 anni e, nonostante questo, si rifiutò di risposarsi. Dedica la sua vita a prendersi cura dei suoi figli. Dopo che io e le mie sorelle siamo cresciute un po’, ha iniziato a lavorare in un cementificio. Lavorava lì quando la fabbrica era ancora di proprietà dello Stato. Tutti abbiamo visto la corruzione con i nostri occhi. Abbiamo visto i burocrati e tutti gli altri capitalisti sfruttare e distruggere insieme la fabbrica. Abbiamo visto come altre due persone che facevano lo stesso lavoro di mia madre erano pagate il doppio di lei, così abbiamo capito cosa significa la disuguaglianza retributiva.
Questo perché erano assunti a tempo indeterminato e mia madre lavorava con un contratto a tempo determinato. Era costretta ad accettare di ricevere un salario minimo. Quando il direttore della fabbrica l’ha umiliata, ha lasciato il lavoro senza esitazione. Ha iniziato a lavorare come domestica, naturalmente, l’abbiamo seguita in questa impresa. Il primo lavoro che ho fatto a pagamento è stato quello di pulire le case. Poi, durante le vacanze, sono andata a Istanbul e ho lavorato come sarta in diverse aziende. Ho cercato di lavorare come distributrice di vari prodotti, ma questo lavoro non faceva per me.
Quando ero studentessa all’università lavoravo alla radio locale. Ho lavorato come presentatrice radiofonica e televisiva, oltre che nel campo del marketing. Facevo torte e altri snack a casa e li vendevo in vari caffè. Durante questo periodo avevamo aperto un piccolo ristorante nella città di Elazığ, dove vendevamo pasti fatti in casa.
Non ho mai voluto fare l’avvocato. La mia casuale conoscenza con il signor Selçuk Kozagaçlı le storie di persone bruciate vive e ferite durante il massacro nelle prigioni del 19 dicembre 2000, mi ha dimostrato che questa professione può essere esercitata in modo completamente diverso. Così ho deciso di iscrivermi all’università.
Mentre ero ancora studente, sono andata nelle case povere dei miei connazionali, che cercavano di creare una nuova vita, lontano dai loro villaggi, bruciati negli anni Novanta, e i loro abitanti sono stati costretti dallo Stato ad abbandonare la zona (Kurdistan settentrionale). I loro figli erano destinati ad essere una generazione perduta. Che lavoro farebbero le donne e gli uomini, in città, che non conoscono altro che l’agricoltura e l’allevamento? Non c’è bisogno di andare avanti, si può indovinare da soli cosa potrebbero fare. Le loro sofferenze, il fatto di essere oppressi mi hanno aiutato a sviluppare una coscienza di classe e storica.
Sono andata a Istanbul e ho iniziato a lavorare come avvocato nell’Ufficio Legale del Popolo. Ero tra i leader dell’Associazione degli avvocati progressisti. Sono sempre stata un avvocato per la classe operaia, per tutti coloro che volevano esercitare i loro diritti democratici, per gli studenti, per i patrioti e i rivoluzionari.
La mia storia personale è piena di ingiustizie. È piena della ribellione delle madri e delle mogli dei miei clienti, contro le ingiuste sentenze imposte loro dai tribunali. È piena del vuoto di non poter dare risposte sufficienti a chi mi guardava con occhi pieni di speranza e di attesa. Ho chiesto il permesso a mia madre. Avevo promesso di risparmiarle il pagamento dell’affitto”. Ma con il mio metodo di lavoro mi è impossibile risparmiare. Ma se avesse voluto avrei fatto del mio meglio per mantenere le mie promesse.
Le ho detto che ci sono madri che sono inseparabili dai loro figli, che si prendono sempre cura di loro. Mia madre mi ha dato la sua benedizione e mi ha detto: “Sono sicura che stai facendo ciò che è giusto”.
Ho esercitato la professione di avvocato rivoluzionario, con il suo permesso. Voglio che il suo nome viva con me, che la mia tomba sia accanto alla sua.
Questa è la mia storia.
Sono la figlia di Fatma – Ebru.
Non ho una poesia preferita, amo la poesia. Non ho una canzone preferita, le canzoni che amo sono quelle che sotto forma di detti popolari, così come i canti religiosi. Amo gli alberi, amo tutti i fiori, purché non siano strappati.
Amo molto la mia terra e la mia patria.
Ciò che mi rende solidale con le richieste dei miei clienti è che mi hanno autorizzato ad essere il loro avvocato, a rappresentarli e che siamo diventati vittime della stessa ingiustizia.
Permettetemi di concludere la lettera con queste parole. Saluto con tutta l’anima tutti coloro
che chiedono di noi. Rimanete sempre pieni di speranza
26.05.2020, Carcere di Silivri
Avv. Ebru Timtik”
Morire per un processo equo
Alla fine del 2017 Ebru Timtik è stata prelevata a forza insieme altri 15 colleghi membri del Cagdas Hukukcular Dernegi (Chd) – associazione di avvocati progressisti attiva nella difesa di casi politicamente sensibili – per essere rinchiusa nel carcere di massima sicurezza di Silviri, soprannominato il “carcere dei giornalisti” per l’alta presenza di cronisti dietro le sbarre.
L’accusa, infondata, mossa all’Avv. Timtik era quella di collaborazione e legami con il Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (DHKP/C), gruppo di estrema sinistra considerato organizzazione terroristica dal governo turco, dall’UE e dagli Stati Uniti.
Nel marzo 2019, dopo un processo condotto senza alcun rispetto delle garanzie difensive, Ebru Timtik e i suoi colleghi sono stati dichiarati colpevoli e condannati a lunghe pene detentive; in particolare Ebru Timtik è stata condannata a 13 anni e 6 mesi di carcere ed a niente è valsa la presentazione da parte sua della richiesta di appello, immediatamente rigettata.
Nel gennaio del 2020 Ebru Timtik e il collega Aytaç Ünsal, condannato a 10 anni e sei mesi, davano, quindi, inizio ad una protesa mediante uno sciopero della fame per chiedere un processo equo, dichiarando che se non fosse stato garantito loro il diritto di difesa avrebbero continuato a rifiutare cibo fino alla morte. Lo sciopero della fame andava avanti ad oltranza per ben 238 giorni e, sebbene le condizioni di salute di Ebru Timtik si deteriorassero giorno dopo giorno, al punto che la donna era arrivata a pesare solo 30 kg, il tribunale di Istanbul ha sempre rifiutato di trasferirla in ospedale.
Ebru Timtik è morta il 27 agosto 2020 chiedendo soltanto che venisse riconosciuto il suo diritto, che è il diritto di ogni essere umano, ad un processo equo.
La condanna degli organismi internazionali e i riconoscimenti postumi
Il decesso di Ebru Timtik ha suscitato reazioni di condanna da parte di diversi organismi internazionali, dall’Unione Europea a numerose organizzazioni forensi e di diritti civili che hanno voluto tributarle i seguenti riconoscimenti:
- nel Settembre 2020 le è stato assegnato in via postuma, Premio Internazionale per i diritti dell’uomo Ludovic Trarieux;
- il 27 novembre 2020 – Il Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa (CCBE) le ha assegna in via eccezionale, il Premio per i diritti umani a titolo postumo.
- nel 2021 – L’Associazione Europea delle Giuriste e dei Giuristi per la Democrazia e i diritti dell’Uomo nel Mondo (EGDU) in onore a Ebru Timtik ha deciso di celebrare ogni anno il 14 giugno la “Giornata Internazionale per un processo equo“, “In riconoscimento del suo sacrificio e al fine di focalizzare l’attenzione sulla difficile situazione di coloro che, nei paesi di tutto il mondo, devono affrontare procedimenti giudiziari in circostanze in cui i principi del giusto processo non vengono osservati o rispettati.“
- il 18 settembre 2021 ha ricevuto il riconoscimento “Premio Pisa Donna 2020” da parte del Comune di Pisa.
Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca