Il 30 novembre 1786 la Toscana diventava il primo stato al mondo a decretare l’abolizione della pena di morte.
L’iniziativa, certamente all’avanguardia, si inseriva nell’ampio quadro dell’intensa opera di riforme messa in atto dal Granduca Pietro Leopoldo e culminata nell’emanazione di un codice criminale allineato al pensiero illuminista.
L’assurdità della pena di morte
Nell’adottare tale risoluzione il Granduca aveva sostanzialmente recepito le istanze contenute nel saggio Dei delitti e delle pene scritto dall’illuminista toscano, nonché nonno materno di Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria.
In questo testo, che aveva avuto una grande eco in tutta Europa in quanto criticava il sistema penale del tempo mettendone in risalto la crudeltà ed inefficacia, si poneva l’accento sulla contraddittorietà di uno stato che riconoscesse la pena di morte in quanto, scriveva Beccaria, “mi pare assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio“.
A ciò si aggiunga che per quanto crudele, come evidenziato nel saggio, neanche la pena di morte costituiva un valido deterrente poiché lo stesso criminale teme meno la morte di un ergastolo perpetuo o di una miserabile schiavitù, trattandosi di una sofferenza momentanea contro una sofferenza prolungata nel tempo. Per non parlare dei soggetti che assistono alla sua esecuzione, ai quali il patibolo può apparire come uno spettacolo o suscitare compassione con la conseguenza, nel primo caso, di indurire gli animi, rendendoli più inclini al delitto e nel secondo, di diminuire il senso di fiducia nelle istituzioni.
Infine, con un’intuizione assolutamente all’avanguardia per i tempi, Cesare Beccaria evidenziava che la pena di morte è inaccettabile anche perché il bene della vita è indisponibile, quindi sottratto alla volontà del singolo e dello Stato.
La riforma del processo penale
All’abolizione della pena di morte si accompagnò, nel campo della procedura penale, la riforma del “metodo inquisitorio” (vigente all’epoca in tutti gli ordinamenti, tranne in parte l’Inghilterra).
Vennero aboliti la tortura giudiziaria, l’obbligo del giuramento e l’equiparazione della contumacia alla confessione, autorizzata la concessione della libertà provvisoria e vietata la sperimentazione del testimone col carcere.
Nel diritto sostanziale furono, invece, introdotti i criteri di mitezza e gradualità; furono abolite le pene corporali truculente come la marchiatura a fuoco, le mutilazioni, le sevizie e la confisca dei beni e la morte civile come pene accessorie.
Certo rimasero alcune pene anacronistiche come la gogna, ma in generale fu ampliato il ricorso “umanitario” a pene alternative quali la pena pecuniaria, il carcere, l’esilio, il confino, l’ergastolo o i lavori forzati, nella convinzione che, come evidenziato da Beccaria, la crudeltà della pena e la durezza delle condizioni detentive non potessero rappresentare un valido elemento dissuasivo, ma fossero piuttosto la clemenza e la dignità del trattamento a dover improntare la pena in modo da aiutare il condannato a redimersi.
Si compivano, dunque, i primi passi per la promozione dei diritti umani, della pace e della giustizia come elemento costitutivo della nostra identità.
Il ripristino della pena di morte e la definitiva abolizione in Italia
L’’abolizione della pena di morte voluta dal Granduca Pietro Leopoldo ebbe breve durata.
Nell’aprile 1790, un mese dopo la partenza di Leopoldo per Vienna per diventare imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Leopoldo II, scoppiarono tumulti in tutto il Granducato di Toscana, soprattutto a Firenze e Livorno. Per reprimere la rivolta Leopoldo II, prima di insediare come suo successore il figlio Ferdinando III, mise in atto una dura repressione arrivando persino, il 22 febbraio 1791, a ripristinare la pena di morte.
Solo il 30 aprile 1859, dopo la fine del Granducato di Toscana, la pena di morte venne di nuovo abolita dal Governo provvisorio toscano rifacendosi proprio alla legge voluta da Pietro Leopoldo e poi successivamente cancellata dal medesimo.
Nello Stato Italiano, la pena capitale è stata, invece, in vigore sino al 1889, per essere poi reintrodotta sotto il fascismo dal 1926 al 1947. Nel 1948, la Costituzione italiana, approvata dall’Assemblea Costituente, ha abolito la pena di morte per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace. Questa pena è rimasta, tuttavia, prevista nel Codice penale militare di guerra fino alla promulgazione della legge 13 ottobre 1994, n. 589, che l’ha abolita sostituendola con l’ergastolo.
La pena di morte è stata definitivamente abolita con la ratifica del protocollo n. 13 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sottoscritto a Vilnius il 3 maggio 2002 e con l’introduzione della legge costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1 (Modifica all’articolo 27 della Costituzione, concernente l’abolizione della pena di morte), che ha modificato l’art. 27 della Costituzione della Repubblica Italiana eliminando l’ultimo residuo di previsione da parte di leggi militari di guerra.
La pena di morte nel mondo
Analizzando il quadro fornito nel rapporto annuale di Amnesty International, una delle realtà più attiva nella tutela dei diritti umani internazionali, si apprende che tra il 2021 e il 2022 vi sono 143 paesi che hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica: 111 stati l’hanno abolita per ogni reato; 7 stati l’hanno abolita salvo che per reati eccezionali, quali quelli commessi in tempo di guerra; 25 stati sono abolizionisti de facto poiché non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte. Infine, 56 paesi mantengono in vigore la pena capitale, anche se quelli che eseguono condanne a morte sono assai meno.
Continuando a scorrere le pagine del rapporto, si apprende che “la maggior parte delle esecuzioni note è avvenuta in Iran, Arabia Saudita, Siria, Egitto, USA e Singapore”. L’Iran, in particolare, si aggiudica il triste primato con 415 esecuzioni, mentre l’Arabia Saudita ha raddoppiato il numero dei detenuti sottoposti alla pena di morte.
* queste liste, tratte dal sito di Amnesy International, contengono soltanto i dati sulle esecuzioni di cui la Ong è riuscita ad avere notizia certa. In alcuni paesi asiatici e mediorientali il totale potrebbe essere molto più elevato. Dal 2009, Amnesty International ha deciso di non pubblicare la stima delle condanne a morte e delle esecuzioni in Cina, dove questi dati sono classificati come segreto di stato. Ogni anno, viene rinnovata la sfida alle autorità cinesi di rendere disponibili queste informazioni che si ritiene essere nell’ordine di migliaia, sia di esecuzioni che di condanne a morte.
Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca