Con sentenza 21.05.2021, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), non avendo tutelato l’immagine, la dignità e la privacy di una giovane donna vittima di uno stupro di gruppo, esponendola alla c.d. vittimizzazione secondaria.
La vicenda
Sotto la lente d’ingrandimento della Corte EDU è finita la sentenza con la quale Corte d’Appello di Firenze aveva ribaltato la pronuncia del Tribunale, disponendo l’assoluzione di sei dei sette imputati condannati in primo grado per il reato di violenza sessuale di gruppo, realizzata con abuso delle condizioni di inferiorità della vittima.
Questo, all’esito di processo durato anni, nel quale i difensori degli imputati, come evidenziato dalla Corte di Strasburgo: “non hanno esitato, per minare la credibilità della ricorrente, a interrogarla su questioni personali relative alla sua vita familiare, ai suoi orientamenti sessuali e alle sue scelte intime, a volte senza alcun rapporto con i fatti, il che è decisamente contrario non soltanto ai principi di diritto internazionale in materia di protezione dei diritti delle vittime di violenze sessuali, ma anche al diritto penale italiano”.
Vittimizzazione secondaria
Nella pronuncia della Corte Europea è stato evidenziato come alcuni passaggi della sentenza, rivelassero che durante il processo svoltosi presso la Corte d’Appello di Firenze, si era realizzata una vera e propria vittimizzazione secondaria della donna.
In particolare, i giudici di Strasburgo scrivono: “la Corte ritiene ingiustificati i riferimenti fatti dalla corte d’appello alla biancheria intima rossa «mostrata» dalla ricorrente nel corso della serata, nonché i commenti concernenti la bisessualità dell’interessata, le relazioni sentimentali e i rapporti sessuali occasionali di quest’ultima prima dei fatti (paragrafi 41 e 42 supra). Analogamente, la Corte ritiene inappropriate le considerazioni relative all’«atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso» della ricorrente, che la corte d’appello deduce tra l’altro dalle decisioni dell’interessata in materia artistica”.
Le Autorità Giudiziarie non devono riprodurre stereotipi sessisti
La Corte EDU ha evidenziato che dall’art. 8 della Convenzione discende un dovere dello Stato di proteggere “le presunte vittime di violenza di genere” anche nella loro “immagine, dignità e privacy”, ed ha considerato “essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare la violenza di genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria utilizzando affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia”.
La condanna dello Stato italiano
In definitiva, la sentenza di condanna pronunciata dai giudici di Strasburgo nei confronti dello Stato italiano è stata motivata dal fatto che le autorità nazionali non hanno protetto questa giovane donna che ha avuto il coraggio di denunciare. Al contrario, le Autorità giudiziarie hanno attuato nei suoi confronti una vera e propria vittimizzazione secondaria, servendosi di un linguaggio e di argomentazioni dal carattere sessista che, oltre ad essere sempre inaccettabili, se utilizzati in un processo rischiano addirittura di ostacolare la protezione dei diritti di tutte le donne che subiscono violenza!
Studio Legale G.O.D. – Avvocati Lucca